Conflitti ambientali: ‘Nimby’ o cittadinanza (scientifica)?
Daniela Patrucco su scienzainrete.it
“La formula Nimby è dannosa e dovrebbe essere sostituita nel linguaggio comune, in quello giornalistico e, soprattutto, in quello della classe dirigente”. E’ la ragione che ha spinto un gruppo di ricercatori italiani a chiedere la soppressione del termine Nimby (non nel mio cortile) ritenendo che “l’acronimo, così facile da pronunciare sia un ostacolo non solo alla comprensione di questi fenomeni, ma anche per affrontarli nel modo migliore”. Secondo quanto si legge nel “NoNimby Manifesto”, la formula sarebbe “dannosa perché crea uno stigma e può rendere più faticoso il dialogo; perché conferma un modo di decisione, Decidi Annuncia Difendi, che facilita i conflitti invece di evitarli; perché rende più difficili e meno partecipati i processi di governo come i processi deliberativi”. Una formula dannosa e superata che, nel caso, ha fatto il suo tempo.
La richiesta di partecipazione alle decisioni della politica e al dibattito scientifico – che molti decisori e scienziati ancora non colgono – è sempre più diffusa e ineludibile e deve essere presa in carico. Le domande che un cittadino pone sono tutte legittime, in ragione di ciò che ha da perdere rispetto a una decisione che lo coinvolge come stakeholder. Condividere conoscenza e obiettivi, capire le aspettative della società e tenerne conto nella propria attività non è cosa facile ma riguarda tutti: cittadini, imprese, decisori e scienziati. Anche la scienza infatti è parte integrante dei processi sociali ed è chiamata a soddisfare i bisogni che esprimono i cittadini. Cittadini che si organizzano, protestano, chiamano esperti. Convegni, assemblee, sit-in di protesta, cortei cittadini, comunicazione costante, contatti con gli “esperti”, studio ed elaborazione di materiali, raccolta di evidenze di violazioni ambientali, esposti alla magistratura, sono altrettante modalità con cui i cittadini “non esperti” chiedono di poter partecipare ai processi decisionali circa le questioni che li riguardano. E’ corretto esprimere tutto questo con l’acronimo Nimby?
Nel 2007, la Direzione Generale per la Ricerca della Commissione Europea, ha incaricato un gruppo di lavoro di redigere raccomandazioni sulla governance della scienza in Europa. Il gruppo di studio ha constatato che “molte delle controversie in cui le autorità europee sono state coinvolte, dal nucleare alle colture geneticamente modificate, hanno mostrato che una maggiore riflessività e apprendimento relazionale da parte delle autorità ufficiali – così come i suoi protagonisti – avrebbe trasformato la situazione in modo costruttivo”. Il gruppo di studio ha così concluso: “Questo tipo di apprendimento, più ampio, non sostitutivo, ma che meglio può inquadrare la conoscenza e l’apprendimento strumentale, merita di essere promosso”. Si tratta di un richiamo forte all’implementazione di direttive, norme e convenzioni esistenti che, sebbene ratificate dagli stati membri non sono sempre applicate – spesso non con pari modalità – nei diversi Stati Membri. Lo studio di numerosi conflitti ambientali mette in luce il loro potenziale in termini di capacità di modificare e migliorare le azioni dei decisori. Altrettante azioni con cui i cittadini accrescono il proprio bagaglio di competenze ed esercitano i propri diritti di cittadinanza.
La “Convenzione sull’accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l’accesso alla giustizia in materia ambientale” (AArhus, 25/6/1998, ratificata dall’Italia con la L. 108/2001) si può configurare a tutti gli effetti quale quadro normativo di riferimento per l’Unione Europea. Con il fuoco sull’obiettivo principale di garantire per i cittadini il “godimento dei diritti fondamentali, compreso il diritto alla vita”, attraverso “un’adeguata tutela dell’ambiente”, la convenzione illumina il percorso verso un’innovazione tecnologica e ricerca scientifica partecipate.
A partire dal riferimento esplicito alla “preoccupazione del pubblico per l’emissione deliberata nell’ambiente di organismi geneticamente modificati”, tra gli oggetti di preoccupazione la convenzione esplicita gli impianti di produzione di energia, la realizzazione di infrastrutture per i trasporti (porti, aeroporti, strade ferrovie), impianti di gestione e trattamento dei rifiuti, esplorazioni ed estrazioni petrolifere, delle acque sotterranee, ecc. Si tratta di un campione consistente di argomenti al centro dei più accessi conflitti ambientali, basti pensare alla TAV, agli inceneritori, al fracking, alle trivellazioni, al carbone, alle rinnovabili, alla sismicità indotta. Conflitti e dibattiti che sono associati alla sindrome Nimby e all’indisponibilità delle comunità locali a farsi carico della loro parte di responsabilità nell’ospitare produzioni potenzialmente dannose. Al contrario la convenzione sancisce per tutti i cittadini il diritto di “accesso alle informazioni” e a “essere ammessi a partecipare ai processi decisionali”, riconoscendo che “un più ampio accesso alle informazioni e una maggiore partecipazione ai processi decisionali migliorano la qualità delle decisioni e ne rafforzano l’efficacia, contribuiscono a sensibilizzare il pubblico alle tematiche ambientali e gli consentono di esprimere le sue preoccupazioni, permettendo alle pubbliche autorità di tenerne adeguatamente conto”. Una condivisione di informazioni e conoscenza che, secondo la convenzione, mira “ad accrescere la responsabilità e la trasparenza nel processo decisionale e a rafforzare il sostegno del pubblico alle decisioni in materia ambientale”.
Condivisione di informazioni e conoscenza spesso negata, come testimoniano casi di studio: informazioni ambientali e sanitarie che, eventualmente comprensibili e analizzabili da parte dei cittadini, non sono rese disponibili; ipotesi formulate dai cittadini, argomentate e supportate da evidenze, che non sono prese in considerazione; siti contaminati che da un giorno all’altro cambiano di stato, senza che nessuna azione sia intervenuta a sanarli; imprese che non rispettano i vincoli legali (violazioni che si risolvono con modifiche legislative) e gli impegni volontariamente assunti (regolamento CE 1221/2009 EMAS) di cui tuttavia godono i benefici; gli enti preposti al controllo che non prendono in carico le segnalazioni dei cittadini; media appiattiti sui comunicati stampa di ciascun confliggente, senza che sia elaborato alcun valore aggiunto, magari con un occhio di riguardo agli equilibri di potere e agli introiti pubblicitari.
COSTRUZIONE E ESERCIZIO DEI DIRITTI DI CITTADINANZA (SCIENTIFICA)
I processi deliberativi, in particolare nei conflitti ambientali, producono un apprendimento generalizzato che riguarda sia i cittadini, sia gli scienziati, sia le istituzioni. Ciascuno apprende e fornisce nuove informazioni che, in particolare nell’interazione con gli altri stakeholder, servono a confutare o confermare (in ogni caso verificare) le proprie e le altrui posizioni. A prescindere dagli esiti, la deliberazione pubblica e la comunicazione determinano cambiamenti o accelerazioni delle azioni dei decisori e dei comitati, oltre a una migliore presa d’atto della situazione da parte di tutti. L’intervento degli scienziati, in qualche modo testimoni superpartes del conflitto, contribuisce all’innalzamento della qualità della democrazia, riducendo le asimmetrie informative, se non quelle di potere.
Le vertenze dei comitati locali sono casi tipici in cui i “non-esperti” necessitano di una dotazione minima ma sufficiente di conoscenze specifiche, spesso proprio per confutare le posizioni degli stessi “esperti”: conoscenze associate alla scienza e/o alla comprensione delle condizioni in cui determinati processi (anche scientifici) si verificano. In generale, è richiesto un livello di competenza (expertise) che consenta di “reperire l’informazione adeguata nel proprio repertorio cognitivo e svolgere operazioni appropriate su tale informazione […] utilizzare qualche apparato esterno o banca-dati per estrarre il materiale rilevante” [Pellizzoni – 2011). In particolare, è utile possedere un livello di conoscenza scientifica sufficiente a identificare le implicazioni, e i contesti, di una determinata decisione, ricerca, applicazione. E comunicarli in maniera efficace.
I conflitti ambientali sono eccezionali occasioni di costruzione di cittadinanza (scientifica). Scienziati e cittadini “non esperti” portano contributi, parimenti importanti, attraverso cui ciascun attore può verificare le proprie ipotesi. Se le imprese, le istituzioni democratiche, i loro consulenti scientifici e gli enti di controllo fossero aperti al confronto pubblico, si riprodurrebbe anche nella vita democratica qualcosa di simile al processo della peer-review, tipico del mondo scientifico. Se si ammettesse che scienziati, decisori e “non esperti” sono parte dello stesso universo di cittadini, attraverso un processo democratico che s’ispira al metodo scientifico e rifiuta le posizioni aprioristiche o non sottoposte a verifica, sarebbe possibile realizzare una democrazia di tipo deliberativo. Al contrario, sebbene i cittadini siano dotati di expertise, l’asimmetria informativa insieme alla disparità di potere rischia di ridurli a una condizione di sudditanza, nella quale devono subire decisioni che li riguardano e che sono potenzialmente in grado di danneggiarli fortemente.
Asimmetria di mezzi, informazione, potere e rappresentanza chiamano ancora una volta in campo la democrazia. Mentre le imprese, e in qualche in modo anche i politici, hanno una legittimazione (ancorché non sempre giustificata) derivante dal loro ruolo, la legittimazione delle istanze dei cittadini, indipendentemente dagli esiti, è funzione della pregnanza degli argomenti a supporto e della capacità con cui li espongono nei processi deliberativi. La possibilità per i cittadini di attivare e condurre al successo conflitti ambientali passa sempre più attraverso la capacità di saper stare nei processi pubblici di deliberazione. Si chiama esercizio dei diritti di cittadinanza (scientifica), altro che Nimby!
BIBLIOGRAFIA
AA.VV., Taking european knowledge society seriously – Report of the Expert Group on Science and Governance to the Science, European communities, 2007
AA.VV., Convenzione di Århus, 1998
G. Boniolo, Il pulpito e la piazza, Raffaello Cortina Editore, 2011
P. Greco, La cittadinanza scientifica (in Micron, N 9), Arpa Umbria, 2008 http://www.arpa.umbria.it/resources/docs/micron 9/Micron_N9_06.pdf
L. Pellizzoni (a cura di), Conflitti ambientali, Il Mulino, 2011