“Ich probiere”: un manifesto a favore della conoscenza inutile
Dagli antibiotici alla risonanza magnetica nucleare, molte ricerche apparentemente senza scopo hanno avuto applicazioni pratiche di estrema utilità. Ecco perché bisogna difendere e sostenere la ricerca libera, come sosteneva Abraham Flexner, fondatore dell’Institute for Advanced Study di Princeton di Ashutosh Jogalekar su le Scienze
Che sia o meno apocrifa, la citazione coglie in pieno gli estesi e spesso universali benefici materiali delle ricerche scientifiche fondamentali. Con gli studi di Faraday sulla relazione tra elettricità e magnetismo si aprì l’era dell’elettricità e fu gettata una luce sui segreti più reconditi della materia.Il pensiero di Faraday è stato citato nel corso di una delle sessioni delNobel Week Dialogue (il meeting interdisciplinare che riunisce vari premi Nobel nei giorni precedenti alla consegna del premio, N.d.T.) di quest’anno, dedicata al valore che ha per l’umanità la ricerca scientifica di base, quella senza vincoli di tempo, senza uno scopo preciso e animata solo dalla curiosità. Non a caso, l’incontro era moderato da Robert Dijkgraaf, direttore dell’Institute for Advanced Study (IAS) di Princeton.
Lo IAS fu fondato nel 1933 da Abraham Flexner, pedagogista e riformatore di larghe vedute, allo scopo di ospitare i pensatori più puri, liberandoli da impegni didattici, doveri amministrativi e dalla miriade di interferenze delle moderne università. I fondi provenivano dalla facoltosa famiglia Bamberger, che rese un servizio al mondo spostando il proprio supporto finanziario da una facoltà di medicina in favore dell’istituto.La devozione di Flexner nei confronti del pensiero puro e incorrotto fu debitamente sancita nel 1933 con l’invito ad Albert Einstein a far parte dell’Istituto come primo membro permanente; altri giganti dell’intelletto come John von Neumann, Herman Weyl e Kurt Gödel seguirono il suo esempio, trovando un sicuro rifugio da un continente ormai sull’orlo del baratro. Nei successivi otto decenni, l’istituto ha sfornato pensatori e scrittori di massima levatura, molti dei quali hanno inaugurato nuovi campi della scienza e hanno ricevuto prestigiosi riconoscimenti come il Premio Nobel e la Medaglia Fields.
Il pionieristico pensiero di Flexner si espresse in un articolo su “Harper’s Magazine” dal titolo memorabile: “L’utilità della conoscenza inutile”, che rappresenta una delle argomentazioni più chiare ed eloquenti sulla necessità di sostenere il pensiero senza fini evidenti. All’inizio dell’articolo, la scienza è paragonata a una candela nell’oscurità, un’immagine che non poteva essere più azzeccata nel cupo 1939, alla vigilia della Seconda guerra mondiale:
“Non è curioso che, in un mondo minacciato da un odio irrazionale che rischia di travolgere la civiltà, uomini e donne, vecchi e giovani, prendano le distanze totalmente o parzialmente dall’indiavolato corso della vita quotidiana per coltivare la bellezza, estendere la conoscenza, curare le malattie, lenire le sofferenze, come se, nello stesso momento, i fanatici non fossero impegnati a diffondere dolore, bruttezza e sofferenza?”
Flexner prosegue citando esempi di diversi scienziati, tra cui Maxwell, Faraday, Gauss, Ehrlich e Einstein, il cui appassionato armeggiare con la scienza e la matematica ha portato a pionieristiche applicazioni nell’industria, nella medicina e nei trasporti. Ciascuno di loro faceva ricerca per la ricerca in sé, senza pensare a possibili applicazioni future.
Particolarmente istruttivo è il caso di Paul Ehrlich, considerato il padre sia della moderna ricerca sugli antibiotici e della scoperta di farmaci. A Ehrlich, il suo supervisore, Wilhelm von Waldeyer, chiese perché perdeva così tanto tempo ad armeggiare con brodi batterici e vetrini. Ehrlich replicò semplicemente “Ich probiere”, che può essere liberamente tradotto “sto pasticciando”. Waldeyer, saggiamente, lo lasciò pasticciare, e queste prime ricerche di Ehrlich portarono alla scoperta della funzione dei recettori proteici per i farmaci e al salvarsan, la prima terapia efficace contro la sifilide.
Il tema si ripete lungo per tutta la storia della scienza: Fleming rimuginava su un’inspiegabile genocidio batterico, Shannon era ossessionato dalla matematizzazione del trasferimento d’informazione, Purcell studiava il comportamento di atomi nei campi magnetici. Ciascuno di questi studi fu il germe di applicazioni pratiche d’importanza monumentale, che portarono, rispettivamente, agli antibiotici, all’information technology e alla risonanza magnetica nucleare.
Per questo non è difficile perorare la causa della ricerca intellettuale senza uno scopo preciso, anche se non si può certamente sostenere che ogni ricerca libera porti con sé il prossimo tablet o un nuovo scanner cerebrale. Ma come disse eloquentemente Flexner, persino i benefici occasionali superano lo spreco percepito.
“Non sto dicendo che qualunque cosa succeda inaspettatamente in laboratorio porterà un giorno a qualcosa di utilità pratica, e neppure che la sua finale utilità pratica sia la sua effettiva giustificazione. Piuttosto, sono per l’abolizione della parola ‘utilità’ e per la liberazione dello spirito umano. Certo, dovremo prevedere l’esistenza di qualche innocuo perdigiorno e la perdita di qualche prezioso dollaro. Ma ciò che è infinitamente più importante è che dovremo spezzare le catene del pensiero umano e lasciarlo libero d’intraprendere quelle avventure che, da una parte, hanno condotto Hale, Rutherford e Einstein nei luoghi più remoti dello spazio e, dall’altra, hanno scatenano l’energia imprigionata nell’atomo”.
È chiaro dalle parole di Flexner che la grandezza e l’impatto del pensiero puro di un Einstein o di un Bohr rendono trascurabili l’eventuale spreco di denaro o la partecipazione occasionale di qualche personaggio di modesta levatura. Ma a Flexner va anche riconosciuto il merito di smitizzare la figura del Grande Scienziato, osservando che a volte le scoperte pratiche si basano su fantasticherie senza scopo, il che rende ricerche pure e ricerche applicative intimamente interconnesse e interdipendenti.
“Appare ovvia la necessità di essere cauti nell’attribuire le scoperte scientifiche interamente a una sola persona. Quasi tutte le scoperte hanno una storia lunga e precaria. Qualcuno trova un pezzo qua, un altro un pezzo là. Poi si fa un terzo passo e così via, finché un genio mette insieme i pezzi e offre un contributo decisivo. La Scienza, come il Mississippi, inizia come un minuscolo rivolo d’acqua in una foresta lontana. Gradualmente altri ruscelli ne aumentano il volume e infine da innumerevoli sorgenti si forma un fiume tumultuoso che superare gli argini.”
Ma perché esiste questa relazione tra un’idea e la sua utilità? Perché anche il più puro dei pensieri può dare origine alla più pratica delle applicazioni? Si tratta di una questione profonda. Nella conferenza del Nobel Week Dialogue, David Gross ha evidenziato una ragione essenziale, sottolineando che “La natura è un’amante riluttante che condivide malvolentieri i suoi segreti”. Per perorare la causa della ricerca di base si può anche fare riferimento a una considerazione pratica: l’ostinato mare di possibilità scientifiche svelerà i suoi segreti solo a chi getta le reti più ampie, corre i rischi maggiori, trova le connessioni più improbabili e indirette, persegue un cammino di ricerca per puro piacere.
Durante l’incontro, alcuni premi Nobel hanno raccontato in prima persona come l’inutilità delle loro ricerche si è trasformata in una conoscenza utile, spesso del tutto inattesa.
Steven Chu ha raccontato che il suo lavoro sull’uso del laser per raffreddare gli atomi è utilizzato ora dalle sonde spaziali per studiare il riscaldamento globale rilevando il moto dei ghiacciai con un’accuratezza millimetrica. Ma Chu ha anche smentito la diffusa convinzione che la ricerca presso i famosi Bell Labs fosse interamente campata per aria. Sia i transistor sia la teoria dell’informazione sono scaturiti da necessità pratiche: riuscire a trasmettere attraverso canali in cui era presente un rumore di fondo e sostituire rapidamente i tubi a vuoto. La ricerca pura e quella applicata non hanno bisogno di essere antagoniste.
Anche altri hanno raccontato la loro storia. C’era Alan Heeger, a cui venne in mente di miscelare un polimero conduttore con i fullereni, anticipando così il trasferimento ultrarapido degli elettroni. E Harmut Michel, chimico tedesco noto per essere di poche parole, ha spiegato all’uditorio in che modo le applicazioni archeologiche della tecnologia del DNA stanno trasformando la nostra conoscenza dei più profondi misteri delle origini dell’essere umano. Michel ha sottolineato anche il fatto importante che un terzo o più dei premi Nobel è stato attribuito allo sviluppo di metodi, una circostanza che indica che anche l’ingegneria, pur perseguendo fini propri, fa parte della scienza intesa come generazione di idee. Nel progettare i più semplici strumenti della scienza si ritrova la stessa arte che occorre per formulare le equazioni più astratte.
La vita e le opere dei premi Nobel che si sono avvicendati sul palco hanno chiarito le immense ricadute e i benefici insperati della ricerca che sembra senza scopo. E non è stato neppure sfiorato il fatto – ampiamente documentato da Flexner nel suo saggio – che queste ricerche senza scopo hanno spalancato una finestra sui processi della vita e dell’universo che sarebbero stati inconcepibili solo un secolo fa. L’uomo è più dei frutti del suo lavoro, e questo certamente merita di essere preservato, anche a costo di miliardi di dollari e innumerevoli vicoli ciechi.
L’utile riflessione sulla conoscenza inutile non pretende di essere una saggezza infallibile né promette un flusso costante di nuove invenzioni. Ma ciò che promette è qualcosa di ancora più prezioso: la libertà della paura e l’opportunità di vedere la luce, dovunque essa sia. “Ich probiere”.
(La versione originale di questo articolo è apparsa il 12 dicembre su scientificamerican.com. Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati)